I
Limpida fra i passi quest’offerta
di noi che attraversiamo il giorno
nel silenzioso giardino, perfetta
l’opera per rinsaldare l’ombra,
senza memoria le stagioni
coprono l’abisso, la luce
è forte la rosa selvatica
oscilla nel miele delle ombre
intatto il vuoto azzurro il cielo chiaro
dove si sciolgono le nuvole.
II
Luminosa pietà si ricompone
nella distratta ombra, qui lo sforzo
di rendere il dolore più sottile
più intenso è stato
( il papavero splende sulla porta
una colomba si china a sfiorarlo )
Mani gentili
fate che il lampo di ogni breve vita
rischiari il cielo
dove ardono le rose, dove noi
nella luce che resta nella riva
d’occidente consumiamo i passi.
III
Nel giardino degli assenti
ombre irrequiete segnano la terra
i papaveri s’inclinano
sull’intonaco celeste e il soffio
in forma di colomba inghiotte
il fiore che recide l’affanno,
lo sguardo è netto il passo
parallelo, il sole scende
accanto alle piccole rose
accese come labbra lungo il muro,
e il buio già le spinge
nel grembo umido davanti a noi.
IV
Su questa soglia
nel flusso oscuro dei pensieri ecco
l’aperto disegno tutta la luce
che cola a fondo nelle vene
della pietra, solo la rosa
brilla con un lampo silenzioso,
da qualche parte il varco
un vuoto nella forma, il cielo
scorre dentro le parole,
e noi passiamo oltre
( forse nell’erba il profumo )
senza riuscire a vederlo.
V
Soltanto per caso quel giorno,
amica lieve che eri ancora
al culmine, provammo a ricomporre
l’ombra ma in un reticolo di crepe
minutissime era persa,
per quella astratta geografia eravamo
dove l’occulta rosa si sfaldava
nel vuoto della luce
non c’era intorno altro che
bagliore del marmo e nel lampo forse
per quei segni vaghi una sommessa
pietà di noi dello sciupato amore
del nostro viaggio così breve.
martedì 12 febbraio 2008
"Le rose di Porto", parole e immagine di Miro Gabriele
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